La Fondazione Specchio d’Italia ha lanciato a Sassari, in collaborazione con l’Associazione locale Studio 18, il progetto “Creo Lab”. Un’iniziativa rivolta ai bambini a rischio delle scuole primarie che hanno bisogno di un aiuto negli studi e che appartengono a famiglie con difficoltà economiche.
Specchio d’Italia è ente filantropico che opera da anni a livello nazionale e internazionale a sostegno di chi ha bisogno. È attualmente attivo in 12 città italiane con interventi di contrasto alla dispersione scolastica, sostegno economico, alimentare e formativo ad anziani in difficoltà, aiuto a donne sole e ai loro bambini, supporto a comunità colpite da calamità. La Fondazione opera nell’ambito del contrasto alla dispersione scolastica, sviluppando progetti sociali in collaborazione con partner locali e Istituti Comprensivi.
L’obiettivo del progetto “Creo Lab” è di creare un ambiente che stimoli i bambini nell’apprendimento, attraverso percorsi di potenziamento e supporto allo studio. I bambini sono accompagnati nella scoperta delle proprie potenzialità, dando risalto al progresso scolastico e al benessere psicologico. Le responsabili del centro, che si trova in via Principessa Jolanda 2, sono la dott.ssa Francesca Sanna e la dott.ssa Chiara Piredda.
La collaborazione con gli Istituti Comprensivi è essenziale per individuare i bambini più rischio, in maggioranza residenti nei quartieri più periferici della città quali Caniga, Bancali, Marchetto.
Le attività che si svolgono su due fasce orarie pomeridiane e prevedono un numero di 6 bambini per ogni turno. Mappe concettuali, metodo di studio, confronto con i compagni, utilizzo di dispositivi e software innovativi, sono queste le parole chiave per garantire l’attenzione e la qualità dell’aiuto di cui questi bambini hanno bisogno. Tutto questo è possibile grazie alla generosità dei cittadini che credendo in Specchio d’Italia contribuisco alla formazione di migliaia di bambini in tutta Italia e nel mondo.
Si torna a scuola. Per milioni di ragazzi e di famiglie riprende un cammino fondamentale, che la pandemia ha finito col rendere meno gioioso e più difficile. Specchio dei tempi (e il suo brand nazionale Specchio d’Italia) sono pronti. Anche quest’anno ci saremo. Con il nostro ormai tradizionale doposcuola e aiuto compiti a Torino Ex Moi, Torino Barriera Milano, Roma Bastogi, Genova Fegino, Bari quartiere Italia, Bari quartiere Japigia, Sant’Arcangelo di Lucania. E poi, a Milano, con Scuola Bottega per il recupero dei ragazzi delle medie che si sono persi per strada.
A Torino, con Specchio dei tempi, riproporremo il tutoraggio in 32 scuole medie (grazie a Intesasanpaolo e Fondazione Ferrero che ci sono vicine), la nostra pet therapy d’eccellenza in 20 scuole d’infanzia e primaria, i corsi di orchestra in classe, i corsi di giornalismo, il nuovissimo “Italiano per studiare” che prevede 400 ore per imparare ad usare meglio la nostra lingua. E, questa una importante novità, il progetto audiolibri in 7 scuole dell’infanzia piemontesi., con il sostegno della Regione Piemonte.
E anche quest’anno continueremo a seguire, con amore, il plesso scolastico “Specchio dei tempi” di Arquata del Tronto. Qui ci siamo sempre stati, sin dal giorno del sisma e poi da quello dell’inaugurazione, 12 mesi dopo il terremoto del Centro Italia di 5 anni fa. Qui abbiamo lottato e lottiamo perché, con una scuola, si può davvero dare vita ad una comunità che sembrava disintegrata.
Specchio è intanto sempre vicino alle sue 26 scuole, centri educativi, villaggi protetti costruiti nel mondo. E, in queste ore, soprattutto vicini alle nostre bimbe dello Sri Lanka, alle prese con casi di Covid che stiamo cercando di contrastare da lontano, ma con grande impegno.
Un calcolo, approssimativo ma per difetto, ci dice che domani mattina saranno almeno 5000 bambini ad entrare in scuole costruite o sostenute dalle nostre fondazioni. A Torino, in Italia e nel modo.
E ancora uno speciale grazie, da tutto lo staff di Specchio dei tempi e di Specchio d’Italia, va al personale scolastico, ai docenti ed alle dirigenti scolastiche. Soprattutto a queste ultime che, da sempre, ci seguono, in modo del tutto volontaristico, in questa sfida. Che è solo un pezzo della vita delle nostre due fondazioni, ma che è quello a cui teniamo di più.
Dieci computer portatili elegantemente ultrapiatti, appoggiati sui banchi dell’aula digitale dell’Istituto comprensivo 10, al cui interno sorgono le scuole medie Besta, propri al centro del parco Don Bosco, in viale Aldo Moro. Una scuola di quarant’anni fa, anche segnata dal tempo, ma spaziosa, attrezzata, con una grande palestra e tantissimo verde intorno. L’abbondante anno solare segnato dalla pandemia, ha stancato molti di questi studenti, ma alcuni li ha decisamente tagliati fuori dalla Dad, la sempre discussa didattica a distanza. Ecco, quei dieci computer servi-ranno a quello, ad aiutare chi si è sentito meno uguale degli altri durante una lezione di scuola.
E sono arrivati qui, su questi banchi, grazie all’iniziativa Digitali e Uguali, promossa da Gedi (il gruppo editoriale di Repubblica), da Yoox (azienda di vendita online di moda e design) con la Fondazione Golinelli e la Fondazione Specchio d’Italia Onlus. «Adesso spero che ci serviranno soprattutto per l’integrazione didattica – ha detto Michele Iuliano, il dirigente scolastico, cioè per tutto quel lavoro di sostegno alle lezioni in presenza che ci auguriamo di poter svolgere regolarmente l’anno prossimo. Certo ci saranno utilissimi in ogni caso».
Lo sperano molto anche questi ragazzi che ovviamente ci hanno messo un secondo a entrare nel sistema, da nativi digitali quali sono. «Ma il digital divide resta un problema da affrontare il prima possibile, e quindi è bene ricordare che la raccolta fondi prosegue e anche con ottimi risultati», ha sottolineato Antonio Danieli, vicepresidente della Fondazione Golinelli, che ha curato i sistemi operativi di questi chromebook. Sul sito ci sono tutte le spiegazioni e e le istruzioni del caso, e c’è anche un contatore che gira veloce per aggiornare la raccolta fondi (ieri si avvicinava a toccare quota 400.000 euro).
Avendo toccato con mano ieri, in questa scuola della prima periferia di Bologna, possiamo garantire che il progetto sta funzionando decisamente bene. Ed è così in tutta Italia, come potete vedere anche sul sito di Repubblica, oltreché nella pagina web di Digitali e Uguali. «Io me la sono sempre cavata, o usavo il pc di casa o, se era occupato, prendevo quello di mia mamma. Ma ho visto che non per tutti è stato così, c’è anche chi ha avuto problemi», ci ha detto uno degli studenti che ieri per primi hanno sperimentato i nuovi pc. Il divario digitale è una questione centrale e strategica del nostro Paese. E la si potrà risolvere proprio iniziando da qui, da questi banchi, dalle nostre scuole.
Alla scuola di Arquata del Tronto è stato inaugurato l’orto di Marisol, l’area verde realizzata a ridosso della palestra (anche questa, come la scuola, costruita da Specchio e dai nostri donatori) in ricordo della più piccola vittima del terremoto di 4 anni fa: aveva appena 18 mesi.
Da lontano, tutti noi di Specchio partecipiamo a questo momento di vita e di ricordo. Con la promessa che saremo lì, sabato 29 maggio, alla presentazione del progetto “Miniguide”, anche questo finanziato da Specchio d’Italia a favore dei bambini che frequentano la scuola.
Specchio d’Italia è attento a quanto accade in Rwanda. Qui, insieme alla nostra fondazione sorella Specchio dei tempi, siamo impegnati su due fronti, ormai da un paio d’anni. Il primo è il sostegno alla scuola primaria di Nganzo, un piccolo centro agricolo dell’interno, frequentato da circa 700 ragazzi, tutti in precarie condizioni economiche.
A Kigali, invece, paghiamo la retta scolastica e del collegio a 50 famiglie per fare in modo che i bambini (provenienti da paesi e villaggi della regione) possano seguire gli studi. Tutti ci possono aiutare in questo progetto che è seguito in loco da Anna Maria Zavagni, una insegnante torinese in pensione, che ha deciso di impegnarsi per i bambini di questo povero paese africano.
La ricreazione alle medie Coletti s’è conclusa da poco. La classe 1ª B ha un’ora di educazione motoria, in programma lezioni teoriche. I banchi sono quelli dell’ex commissario Arcuri, più piccoli per garantire il distanziamento. La spiegazione è appena cominciata, quando entrano la preside Ada Vendrame e la sua vice Stefania Canel. Con loro Fabrizio Brancoli, direttore della Tribuna (e degli altri quotidiani veneti del Gruppo Gedi), e il nostro fotografo Enrico Colussi. Gli occhi dei bambini, incuriositi, si posano subito sul motivo della visita: la consegna di 10 notebook (Chromebook), donazione legata al progetto “Digitali e Uguali”, promosso da Yoox e Gruppo Gedi, in collaborazione con Fondazione Specchio d’Italia e Fondazione Golinelli.
Tutto è nato da un’idea di un gruppo di studenti dell’università di Bologna, obiettivo: colmare il gap digitale messo a nudo dalla didattica a distanza imposta dalla pandemia. La consegna al Comprensivo Coletti è la prima effettuata in Veneto. «Vogliamo stare vicini alle scuole. Che sia solo il primo passo», commenta Fabrizio Brancoli, direttore dei quotidiani veneti del Gruppo Gedi. La donazione ha interessato un Istituto Comprensivo di quasi mille bambini. Un simbolo d’integrazione: il 31% della popolazione scolastica è straniero; bambini, spesso di seconda generazione, con radici che affondano in Nord Africa, Asia o nell’Est Europa.
Quanto al futuro utilizzo dei computer, messi a disposizione grazie al progetto Yoox-Gedi, la preside Vendrame culla un’idea: punta a coinvolgere alcuni scolari dell’attuale quinta elementare, più bisognosi e meritevoli per il profitto scolastico. Studenti che da settembre seguiranno il nuovo percorso scientifico-sportivo voluto dalle medie Coletti: tre ore extra-curriculari, con approfondimenti legati alla Matematica, Scienze e Arte. Tanto che, in collaborazione con il Comune, saranno create due aule speciali per l’Informatica.
I Chromebook donati come opportunità per sviluppare attività laboratoriali. I bambini intanto ascoltano, si divertono con i saluti per foto e video. Un’alunna più spigliata racconta del progetto sulla legalità portato avanti dalla classe con alcune avvocatesse: «Ci hanno spiegato che senza regole non si riuscirebbe a vivere in comunità. E ci hanno fatto disegnare un aereo, per farci un’idea di cosa voglia dire viaggiare in un mondo senza regole».
Poi la visita si sposta in 3ª B: in corso una lezione d’inglese, i bambini stanno seguendo il film “Brooklyn” in lingua originale. Era un laboratorio per l’educazione musicale, la pandemia l’ha convertito in un’aula canonica per la didattica.
«Per noi è importante essere a fianco degli studenti e di chi lavora nella formazione», sottolinea il direttore Brancoli. La docente Canel anticipa agli alunni «un’analisi del testo» sull’articolo che state leggendo. Gli scolari salutano con un bel “bye bye”.
La dirigente: «Siamo contenti della donazione, orgogliosi di essere la prima scuola in Veneto a riceverli. Cercheremo di premiare alunni bravi, che s’impegnano». Ada Vendrame, da due anni dirigente del Comprensivo Coletti di Treviso, plaude all’iniziativa targata Yoox-Gedi. Obiettivo della scuola è legare a doppio filo la donazione a un altro progetto, per il quale il Comprensivo ha chiesto finanziamenti ministeriali: l’introduzione, da settembre, di un percorso scientifico-sportivo per le medie. «Un percorso che imporrà attività laboratoriali e approfondimenti di Informatica. I nuovi notebook cadono a fagiolo», osserva la preside.
L’idea è di consegnare i pc, nel prossimo anno scolastico, a scolari dell’attuale quinta elementare: «Valuteremo il profitto e le reali necessità, in base ai criteri fissati a inizio anno scolastico per le consegne dei pc in comodato d’uso. Il percorso scientifico-sportivo prevede tre ore extracurriculari alla settimana: spazio alle “Steam”, quindi Matematica, Scienze, Tecnologia e Arte. Per l’occasione, con il supporto del Comune, saranno create due aule speciali per l’Informatica, nei plessi Coletti e Bianchetti. Ma si potrà scegliere pure fra sei discipline sportive». La scuola è un modello di integrazione, la visitò nel 2014 l’allora premier Matteo Renzi. «Il Comprensivo conta 990 bambini: il 31% sono stranieri, la media veneta è del 14% e quella nazionale del 10%. Noi esempio di inclusione».
«Nessuna vergogna a riceverli i computer, da questa pandemia ne usciremo solo dandoci una mano». Filippo ha 15 anni, frequenta un liceo classico a Bergamo e ha avuto uno dei computer acquistati grazie al progetto, a suo modo visionario, di “Digitali e Uguali”. E quando dice: «Un computer tutto mio mi ha reso indipendente. Finalmente sono riuscito a seguire le lezioni, anche se non vedo l’ora che l’isolamento finisca», fa una perfetta traduzione pratica dell’idea che ha messo in moto questa raccolta fondi: dare a tutti e tutte gli strumenti per essere eguali nella conoscenza.
Ma, a un mese dal suo avvio, il progetto si rivela tutt’altro che visionario: si sta traducendo in una risposta sorprendente. I numeri parlano da soli. Sono arrivate a oggi 2162 donazioni (tutte regolarmente registrate sul sito digitalieuguali.it), gli euro raccolti sono 348.320. Questo vuol dire che già ora, nelle prossime settimane, verranno consegnati 1154 computer tra le scuole elementari e medie che ne hanno fatto richiesta, e via via i laptop verranno poi distribuiti in base ai diversi gradi scolastici. Sono una grandissima parte degli oltre duemila computer chiesti finora da 216 scuole. E distribuiti con un lavoro di confronto con presidi e docenti: una commissione ha vagliato le loro domande, le motivazioni alla base delle difficoltà che hanno segnalato, e così costruito una sorta di graduatoria nelle scelte e nelle assegnazioni. Ma, per quanto clamoroso, è solo l’inizio.
La campagna “Digitali e Uguali” – promossa dal gruppo editoriale Gedi (di cui fa parte Repubblica) e da Yoox, in collaborazione con Fondazione Golinelli e Fondazione Specchio d’Italia Onlus – è un appello alle aziende e ai cittadini per «contribuire ad abbattere finalmente le barriere che impediscono agli studenti italiani di crescere ed affermarsi e per portare il Paese in una posizione di forza in Europa nel grado di digitalizzazione», scrivono i promotori ricordando che il “digital divide” in Italia fa precipitare il nostro Paese al venticinquesimo posto su ventisei membri della Ue per competitività e sviluppo tecnologico.
C’è stato un momento iniziale di questa campagna che ha mostrato quanto una proposta di eguaglianza, come questa, possa colpire ragazze e ragazzi: Repubblica@Scuola ha chiesto agli studenti di inventare gli slogan (anche per i social) con i quali è stato lanciato “Digitali e Uguali”. In poche settimane ne sono arrivati oltre 700, uno dice: «Impediresti mai a uno studente di non entrare a scuola perché non può comprare i libri?». E il preside di uno degli istituti che hanno già ricevuto i computer racconta: «Ho fatto il giro di quelli che ne avevano più bisogno durante il primo lockdown, perché da noi la situazione era drammatica, la mia scuola è frequentata soprattutto da studenti dalla Val Seriana, hanno vissuto la morte di nonni e parenti: non potevo perderne nemmeno uno, era inaccettabile perderli solo perché non avevano uno strumento per collegarsi a distanza». Eccolo, riassunto da uno studente e da un preside, il “digital divide”.
La richiesta viene ora rilanciata con ancora maggior convinzione: tutti coloro che sentono di condividere la responsabilità verso il futuro delle prossime generazioni potranno offrire il loro sostegno. Non è certo “la soluzione”, ma una spinta forte perché si arrivi alla soluzione di uno dei grandi problemi italiani troppo spesso ignorati. Si chiama, appunto, “digital divide” e si può leggere come arretratezza di un Paese, mancanza di opportunità soprattutto per i più giovani che la vivono come imbarazzo e senso di esclusione. «La cosa più bella – ha notato il direttore di Repubblica Maurizio Molinari – sono le piccole donazioni, tante persone che stanno contribuendo con poco ma hanno capito il nostro messaggio».
Insieme a loro le forti donazioni di grandi gruppi come Armani, Habacus, Fondazione Giuliano e Maria Carmen Magnoni, hotel Cristallo, Richemont, Moncler, o privati come Marino Golinelli (che è anche uno dei promotori della campagna). Per tutti i donatori la risposta più bella è contenuta nella motivazione arrivata da una delle scuole richiedenti, che sono anche degli impressionanti messaggi d’allarme da tutta Italia. La docente conclude: «Semplicemente, grazie».
«Avere il computer è il primo passo per poter sentire gli abbracci virtuali di cui abbiamo sempre più bisogno in un periodo come questo». Sono le prime parole di Eugenio Cesaro, frontman della band torinese Eugenio in Via Di Gioia, a sostegno del progetto “Digitali e Uguali”. Insieme ad altre personalità come Fabio Volo, Luciana Littizzetto, Cesare Cremonini, Chiara Francini ed Elisa Di Francisca, solo per citarne alcune, gli Eugenio in Via Di Gioia saranno in prima fila per portare nelle case di bambine e bambini in Italia un computer: «Oggi è un bene di prima necessità, come il cibo, per chi deve potersi istruire. Per questo è importante che tutti ne abbiano uno».
Eugenio, come avete scoperto che tanti giovani non hanno potuto fare la Dad in questi mesi? «Noi non sapevamo cosa volesse dire fare scuola a distanza. In un primo momento pensavamo che le criticità fossero altre, durante il primo lockdown ci eravamo concentrati sulla distribuzione del cibo per le famiglie che non avevano possibilità di accedere a servizi di prima necessità con Torino Solidale. Poi, tre mesi fa, siamo entrati virtualmente nelle classi di studenti torinesi con una serie di laboratori in Dad: gli studenti ci hanno detto che qualcuno non poteva partecipare. Abbiamo aperto gli occhi, è un’ingiustizia che non deve esserci».
Ai tempi della scuola dell’obbligo avreste avuto un computer per seguire le lezioni?
«All’epoca, e stiamo parlando dei primi anni del Duemila, pur tenendo conto che tutto a livello tecnologico era più indietro, se fosse piovuto in testa uno scenario del genere a me e ai miei compagni di classe non so se saremmo stati pronti. Io ho avuto la fortuna di crescere con un padre appassionato di informatica: ricordo perfettamente il giorno in cui era uscita la web cam e l’aveva acquistata subito. Eravamo molto piccoli, ma eravamo rimasti sconvolti di avere una telecamera che poteva riprendere in tempo reale. Nonostante questa sua passione, io avevo a disposizione un pc che non era al passo coi tempi essendo ancora piccolo. Oggi si dà per scontato che in ogni casa ce ne sia uno, ma non è così».
Tra Dad e smart working, c’è anche chi è attrezzato ma avrebbe bisogno di averne di più.
«Il problema è proprio questo. Poi subentrano altri problemi, come la digitalizzazione di chi è col bambino in casa: se a seguirlo mentre fa lezione sono i nonni che non hanno imparato ad usarlo, c’è un problema. Il computer è diventato un bene di prima necessità, come il cibo. Anche per non isolarsi e sentire il calore degli altri: come gruppo abbiamo in mente un progetto che affiancherà Digitali e Uguali, quasi una naturale conseguenza, proprio per continuare a stare insieme».
Anche gli Eugenio in Via Di Gioia hanno un problema di computer e connessioni?
«Noi siamo fortunati e per lavoro siamo rimasti sempre connessi, ma ad esempio in casa mia non ho mai attivato il Wi-Fi. Non voglio paragonarmi a situazioni difficili, ma il punto è proprio questo: non è soltanto una questione di condizioni economiche. E chi è in difficoltà deve essere aiutato».
Un parroco della zona ha prestato i suoi due tablet, ma sono datati: non si riesce a scaricare Meet per seguire le lezioni a distanza. La scuola ha aggiunto un computer, ma se i figli sono quattro e in casa entrano solo 500 euro al mese dopo un anno di pandemia, è dura. Il racconto è di una mamma di Prato: chiede aiuto. Non è la sola. C’è chi scrive: «Sono una di quelle famiglie che non ha il computer in casa, la mia bimba di 6 anni fa la Dad, i maestri ci mandano un sacco di schede da fotocopiare e così si va dal tabaccaio: per fortuna è gentile, qualche fotocopia ce la regala…».
Il progetto di inclusione “Digitali e Uguali” per fornire computer alle bambine e ai bambini italiani — promosso dal gruppo Gedi e da Yoox, con la Fondazione Golinelli e la Fondazione Specchio d’Italia Onlus — scopre quel mondo disuguale che la chiusura delle scuole ha reso visibile e che già l’Istat aveva fotografato: negli anni 2018-2019, il 12,3% dei ragazzi tra 6 e 17 anni (850 mila) non ha un computer o un tablet a casa e la quota raggiunge quasi un quinto nel Mezzogiorno. Il 57% lo deve condividere in famiglia.
Dietro alla statistica ci sono vite reali. Scrive una mamma dalla provincia di Milano: «Ho tre figli di 16, 11 e 9 anni. La grande usa un vecchio portatile, il secondo fortunatamente ha l’iPad della scuola, ma la piccola usa al momento (e quando funziona) un tablet vecchissimo che si spegne in continuazione. Io prendo 400 euro al mese e sono da sola con loro. So che c’è chi sta peggio di noi, ma mi chiedevo come fare». In tanti si sono fatti avanti. Donatori e chi si ritrova, come si legge nella lettera di un’altra famiglia, «dall’altra parte della medaglia»: due figli in Dad, i genitori in smart working, «finora abbiamo comprato due pc, di più non si può, e li stiamo gestendo con orari assurdi». C’è chi fa i compiti dei figli di notte, chi li vede studiare in tre in cucina, «facendo i turni nel collegamento dal telefonino e un vecchio pc che si spegne sempre» racconta Abbes, mamma tunisina con i bambini nati a Bologna.
La raccolta fondi ha già superato i centomila euro. Serviranno ad acquistare computer da consegnare ai bambini e alle bambine attraverso le scuole: sono 1.156 le richieste arrivate, ma all’appello mancano ancora alcune regioni. Le domande sono arrivate soprattutto da Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Lazio. Il bisogno c’è, la raccolta continua. Non solo per la Dad. Ma per «mettere tutti ai blocchi di partenza», ricordano i donatori sulla piattaforma www.digitalieuguali.it. La sfida è sulla conoscenza, a partire dalle pari opportunità negli strumenti di accesso al digitale. Tra i commenti, una citazione di Dante, di cui si è appena celebrata la Giornata nazionale: canto XXVI dell’Inferno, parla Ulisse: «Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza».
Rosolino Cicero insegna matematica e scienze all’istituto comprensivo Giuliana Saladino di Palermo, che sta nell’ex Cep, Centro di edilizia popolare, periferia difficile, 650 alunni dalla materna alle medie. Spiega che «in una complicata e complessa realtà territoriale come la nostra dove, al di là dell’emergenza sanitaria, rimane il forte bisogno educativo, dare opportunità significa cambiare il destino di tanti di loro che vivono in famiglie disgregate, con genitori in carcere, in case famiglia. La nostra comunità scolastica è determinata a non lasciare indietro nessuno». Ma è una lotta coi mulini a vento, «durante il primo lockdown pur di non perdere il contatto con tutti loro abbiamo usato i gruppi di WhatsApp, ma è chiaro che ne abbiamo persi», racconta il professore. Poi sono arrivati i computer dal ministero dell’Istruzione, la sede principale è stata cablata, ma a gennaio con una nuova chiusura delle scuole in Sicilia il problema si è riproposto. «Eravamo riusciti ad annullare la dispersione scolastica in presenza, ora facciamo i conti con la dispersione digitale».
«Siamo molto lieti di mettere a disposizione le nostre capacità di progettazione sociale e le esperienze maturate in tanti anni di presenza nelle scuole. Per Specchio d’Italia, già presente con queste esperienze in diverse città italiane, collaborare con Yoox, il gruppo Gedi e Fondazione Golinelli è una straordinaria occasione».
Lodovico Passerin d’Entrèves, presidente della Fondazione Specchio d’Italia, spiega il senso del progetto Digitali e Uguali: «Aiutare il Paese a superare le difficoltà di collegamento per i ragazzi e la scuola è una delle nostre priorità, è una necessità non più rinviabile. I lettori saranno certamente sensibili».
Specchio d’Italia, del resto, nasce con l’idea di allargare a tutto il Paese il modello piemontese, lungo sessant’anni, di Specchio dei tempi, che guarda ai bisogni del mondo dell’istruzione come uno dei temi più sensibili: la Onlus nasce per rispondere alle richieste d’aiuto provenienti da diverse regioni italiane a seguito dell’emergenza sanitaria scatenata dalla pandemia di Covid-19.
Specchio d’Italia ha già avviato iniziative concrete in sette regioni, abbracciando le famiglie più emarginate, gli studenti più fragili, gli anziani in difficoltà e le piccole imprese travolte dalla pandemia. Lavorando per frenare l’abbandono scolastico, arginare il disagio sociale nelle periferie e dare sollievo a chi soffre.
La rimonta del Covid ostacola la scuola, i ragazzi e le famiglie. Diventa sempre più difficile realizzare una didattica utile, a misura di bambino. Mancano spazi, tecnologie, persino le presenze umane. Così la Fondazione Specchio d’Italia (nata per volere della fondazione torinese Specchio dei tempi) ha pensato d’intervenire anche a Genova, dopo Torino e Roma, per realizzare un progetto, avviato ieri, che è di aiuto compiti e doposcuola, ma che vuole anche essere una concreta e fattiva presenza accanto ai giovani studenti, ora più che mai soli.
L’iniziativa è stata sviluppata con la collaborazione del Ceis Genova (Fondazione Centro di Solidarietà Bianca Costa Bozzo) che ha scelto di operare, con Specchio d’Italia che finanzia il progetto, nella zona di Fegino, all’interno del Municipio V Valpolcevera.L’obiettivo principale del progetto è sostenere e supportare le famiglie in questo delicato momento storico-sociale, su aspetti concreti e quotidiani.
L’esperienza della Fondazione Specchio dei tempi sui territori della città metropolitana di Torino e nel quartiere Bastogi di Roma favorisce e sostiene un lavoro analogo e replicabile sull’area genovese. L’impegno didattico verso i bambini sarà il punto di partenza per una serie di attività intergenerazionali di promozione del benessere, quale monitoraggio dei bisogni delle famiglie e dell’intero territorio. I locali individuati per le attività del progetto sono quelli dell’oratorio della Chiesa di Sant’Ambrogio di Fegino. Le aule sono pienamente agibili, consentono l’opportuno distanziamento interpersonale alla luce delle misure di contrasto e contenimento all’epidemia da Covid-19. Le attività sono partite con la mappatura degli enti e delle associazioni del territorio, alle quali è stato illustrato il progetto, recependone i consigli. E sono seguite con il coinvolgimento di dirigenti scolastici e docenti per il confronto sui programmi scolastici e le situazioni di maggiore fragilità.
Il crollo del Ponte Morandi prima e la pandemia di Covid-19 poi, hanno messo in grossa difficoltà Fegino. Un quartiere che fino a qualche anno fa ospitava importanti attività produttive e che adesso ha bisogno di essere sostenuto per non perdere terreno rispetto al resto della città. Il progetto di Specchio d’Italia è quello che serviva al territorio, quello di cui cera bisogno: l’impegno della fondazione è stato apprezzato soprattutto dal mondo scolastico che, sentendosi coinvolto, ha partecipato attivamente al progetto, spiegando quali erano le necessità più urgenti da soddisfare. Ed è stato deciso di puntare sul dopo lezioni, per fornire gli strumenti necessari a implementare quello che in questi mesi è venuto a mancare con le lezioni a distanza. Anche a chi non ha gli strumenti. Insomma, verranno aiutati bambini e ragazzi che hanno bisogno di non essere lasciati soli dopo due anni difficili. E che lo scoppio dei contagi stanno rendendo ancora più complicati. Non mancavano le strutture, ma mancavano le risorse per poterle mettere a norma. Questo è stato fatto coinvolgendo la chiesa di Sant’Ambrogio, chiudendo il cerchio di una iniziativa che abbraccia tutto il quartiere.
Ieri pomeriggio è anche partito il supporto scolastico vero e proprio per bambini e ragazzi di età compresa tra i 6 e i 14 anni, con l’affiancamento individuale e di gruppo per l’esecuzione dei compiti ed il supporto formativo di bambini e ragazzi della scuola del primo e secondo ciclo. Da novembre partiranno anche i laboratori di rinforzo all’attività di supporto scolastico con l’organizzazione di laboratori tematici per il rinforzo agli apprendimenti logico-matematici e linguistici e alle competenze trasversali.
Ma come detto, è soltanto un primo passo. Il piano della Fondazione Specchio d’Italia è intergenerazionale e quindi non toccherà soltanto i giovani. Particolare attenzione verrà riservata agli anziani, iniziative sono già allo studio per creare punti di aggregazione e per dare nuova linfa a un quartiere che in questo modo si sente meno solo. Fegino da qui può pensare di lasciarsi alle spalle questi due anni e più di fatica.
La Fondazione La Stampa – Specchio dei tempi da 8 anni assiste, nel villaggio di case famiglia che ha costruito ad Ibbawala nel sud dello Sri Lanka, un gruppo di bambine (attualmente una ventina) vittime di violenze od abbandoni. Queste ragazzine, allontanate dalle famiglie di origine su disposizione dei magistrati cingalesi, vengono assistite in ogni loro necessità: vitto, alloggio, scuola, attività educative, laboratori. E, per le più grandi, anche avviamento al lavoro. La più piccola ospite ha 5 anni, la più anziana 15. L’età media è di 11 anni.
Specchio dei tempi e Specchio d’Italia devono ora realizzare i nuovi servizi igienici nella più grande delle case famiglia per consentire alle bambine una più corretta igiene. Il costo dell’intervento è stimato in 6.000 euro. La costruzione dei nuovi servizi igienici avverrà entro la fine del 2020, sfruttando un progetto esecutivo già approvato. Verrà utilizzata un’impresa locale e la durata dei lavori è stimata in circa 25 giorni. Per sostenere il progetto, Specchio ha lanciato una raccolta fondi sulla piattaforma produzionidalbasso.com.